Nuovo valore allo spazio fisico nell’era dell’e-commerce

Gabriella Simone

Il ritorno ai negozi di prossimità è stato sicuramente un tema sotto i riflettori per tutto il 2020: le persone si sono ritrovate da un giorno all’altro in una nuova realtà dove la necessità prioritaria è stata ripensare e riorganizzare le attività private e professionali.

Temi come la valorizzazione del territorio e della comunità locale, il Made in Italy, il benessere e la salute, la sicurezza e la sostenibilità hanno influenzato il consumatore verso scelte d’acquisto differenzianti e consapevoli.

Secondo Valentina Pontiggia, Direttore degli Osservatori e-commerce B2C e Innovazione Digitale nel Retail del Politecnico di Milano, «Il prossimo decennio per il retail italiano sarà caratterizzato dal ritorno alla prossimità e che ci sarà una rivalutazione della distribuzione su spazi più contenuti in controtendenza ai centri commerciali di grandi dimensioni».

Il pensiero non si deve fermare alla Gdo del settore food, che ha già iniziato a puntare sullo sviluppo massivo dei negozi di vicinato, ma deve arrivare fino al nostro settore con esempi come quello di Leroy Merlin che ha recentemente aperto a Roma uno showroom omnicanale di piccola dimensione, dove il punto di forza è la capillare presenza di personale dedicato a consigliare il cliente e ad offrirgli soluzioni su misura, oltre all’offerta di corsi specializzati e facilmente accessibili per il fai-da-te.

Dal lato del retailer tradizionale, che utilizza il negozio fisico come unico canale di vendita, questa situazione ha accelerato una presa di consapevolezza della difficoltà di risposta al “nuovo cliente”, capace di ricercare una soluzione al suo problema in modo veloce, immediato e diretto.

Un notevole vantaggio da considerare è che la realtà locale e territoriale è già una prerogativa dei punti vendita di materiali edili e di ferramenta: un enorme punto a favore che va però integrato e migliorato. Questo aspetto è rafforzato da uno studio della rivista statunitense di economia Forbes secondo la quale il 75% dei clienti è più incline ad acquistare qualcosa da qualcuno che li riconosce.

L’esperienza click and collect

Un dato importante e da non sottovalutare è che nello scorso anno, l’e-commerce e gli store fisici si son ritrovati da rivali ad alleati. Pensiamo per esempio al click and collect – definito dalla testata giornalistica online Inside Marketing come “un servizio offerto dalle aziende che permette ai consumatori di acquistare dei prodotti online e di ritirarli nel punto vendita o in altri punti di ritiro predisposti a questo fine” – che ha offerto ampie possibilità di esperienza di acquisto continuative e di rafforzamento di relazione e fiducia con il cliente.

Questa esperienza ha evidenziato un’inversione di tendenza secondo la quale molte aziende native digitali hanno deciso di aprire store fisici nel giro di pochi anni.

La distruption dello scorso anno ha rafforzato positivamente le possibilità per entrambi i canali. Ma se la potenzialità dell’on line è stata compresa maggiormente come canale da implementare e sviluppare, cosa è successo negli spazi fisici?

L’evoluzione del cliente

Il mercato attuale ci mette di fronte ad una certezza: l’evoluzione del cliente è un processo che è già iniziato e che molto probabilmente non sarà facile da arrestare. Secondo il sito linkiesta.it, “l’abitudine alla comodità dell’ordine da casa non sarà qualcosa di passeggero per chi l’ha sperimentata nel 2020, anche per la prima volta”. Analizzando il giro d’affari dell’e-commerce in rapporto al Pil dell’anno 2019, vediamo che la percentuale di acquisti online nel nostro Paese si attesta all’1,8% contro il 7,9% del Regno Unito, il 6,4% della Danimarca, il 5,2% in Spagna e il 4,3% della Francia.

In Italia si sta tuttavia registrando un incremento continuo, che può essere associato non solo alle limitazioni della mobilità imposte dal Covid-19, ma anche ai sostegni alle Pmi per la trasformazione e digitalizzazione attraverso la finanza agevolata ad essi collegata.

Diventa quindi prioritario avviare una riflessione sul tema della trasformazione dei punti vendita fisici, sul come ripensarli, riprogettarli e riorganizzarli, nella consapevolezza dei cambiamenti in atto.

La trasformazione dello spazio fisico

Secondo una ricerca condotta dall’Osservatorio sui Modelli di Business di Beople, la pandemia ha fatto emergere una fotografia importante sulle organizzazioni aziendali: i problemi strutturali, cioè quelli già rilevati in un un’azienda prima della pandemia, sono percentualmente maggiori rispetto alle difficoltà contingenti creatisi durante il periodo della pandemia. I problemi strutturali, in molte aziende, sono strettamente connessi ad una difficoltà di segmentazione, ad una incapacità di adattamento al cambiamento del mercato e all’inefficacia della proposta di valore offerta, cioè il beneficio per cui i clienti comprano i prodotti. La conseguenza tangibile derivante dai problemi strutturali è rappresentata da una bassa generazione di domanda che, insieme ad una limitata conversione, comporta una bassa marginalità.

I problemi contingenti, invece, interessano principalmente i canali e il processo di vendita, che insieme alle risorse e alle attività chiave diventano dei blocchi da rivedere.

Entrambe le categorie di ‘problemi’ possono essere affrontate attraverso strumenti quali il Business Model Canvas, ideato e sviluppato da Alexander Osterwalder.

Pensiamo ad esempio ad alcuni distributori che continuano a vendere prodotti in modo tradizionale con un modello di business fondato esclusivamente sui ricavi derivanti dalle vendite. Con la presenza dell’e-commerce, gli spazi fisici dovranno necessariamente trasformarsi ed integrare ad una vetrina di prodotti un’offerta di servizi e di consulenze in grado di ‘catturare’ il cliente attuale e distoglierlo dalla competitività organizzativa, di tempo ed economica dell’online.

Ma quale sarà il segmento di clientela da intercettare per riformulare una nuova proposta di valore differenziante da trasferire nello spazio fisico?

Per affrontare queste domande e risolvere le difficoltà, il Business Design può essere un sostegno importante e veloce per il retailer.

Attraverso processi come Mvp (minimo processo fattibile), il retailer è accompagnato all’interno di uno Sprint a definire il problema principale (la domanda da cui partire), a mappare il proprio modello di Business attuale, a definire i segmenti prioritari su cui costruire le nuove proposte di valore, a validare con il cliente “vero” il problema e la soluzione, ed infine ad avere un piano d’azione che organizzi le attività ed i servizi da realizzare per creare un cambiamento nel ‘negozio’.

Questo processo è human oriented ed è fondamentale che sia così, perché la nuova priorità deve diventare quella di focalizzarci sul cliente, indagarne le “motivazioni di acquisto” (e non solo i dati anagrafici, di provenienza, ecc.) e raccoglierne gli insight per poter così ri-creare i nuovi spazi fisici.

Utilizzare metodi agili come il Business design per ri-creare gli spazi significa comprendere quale trasformazione corrisponde al nostro target di clienti, quale vetrina di prodotti è la più idonea ad essere esposta nello spazio fisico, quale tipo di comunicazione va adottata per trasferire il valore reale e quali soluzioni digitali vanno scelte a supporto.