CAPITANE CORAGGIOSE 2024. La vie en rose dell'edilizia

Il futuro dell’edilizia è pink e young

Capitane coraggioseForma di business tra le più diffuse del mondo, le imprese familiari rappresentano un importante motore della crescita economica, dell’occupazione e dello sviluppo sociale in molti Paesi, Italia compresa. Nell’Unione europea, secondo i dati del report Family governance in Europe: trends and insights, elaborato nel 2023 da Bnp Paribas Wealth Management in collaborazione con la SDA Bocconi School of Management, le imprese di questo tipo ammontano a più di 14 milioni, generando circa il 50% del Pil di tutta l’Unione e impiegando più di 60 milioni di persone, ovvero il 40 e il 50% di tutti i posti di lavoro del settore privato europeo.

Cuore pulsante del tessuto imprenditoriale del nostro continente e non solo, in Italia le aziende controllate da una persona fisica o da una famiglia nel 2022 sono state più di 820mila, pari all’80,9% delle imprese con almeno tre addetti (nel 2018 era il 75,2%). Il fenomeno, secondo quanto emerso dal Censimento permanente delle imprese 2023 di Istat, è particolarmente diffuso nell’industria manifatturiera (81,2%), nelle costruzioni (82,4%), nel commercio (84,4%) e nei servizi di alloggio e ristorazione (87,3%).

Numeri significativi a cui si aggiungono quelli raccolti nel 2023 dall’Osservatorio Aub, promosso da Aidaf (Associazione italiana delle aziende familiari), Cattedra Aidaf-Ey di Strategia delle aziende familiari (Università Bocconi) e Unicredit, che fotografano un segmento che gode di buona salute e che dopo la pandemia ha registrato un rimbalzo considerevole in termini di fatturato, redditività e solidità. Nel 2021, infatti, le aziende familiari hanno visto crescere i propri ricavi di oltre il 20%, contro il 6,8% del 2019, mentre il tasso di redditività netta (Roe) ha recuperato i livelli del 2019 raggiungendo il 13,6%.

La diversity nella governance delle imprese familiari

La crescita delle performance di fatturato, evidenzia l’Osservatorio Aub, è strettamente legata all’attenzione alla diversity nei Consigli di amministrazione, in particolare in termini di età (almeno un componente del Cda con meno di 40 anni di età e non più di un componente con più di 75 anni), di genere (almeno il 33% di componenti di genere femminile) e di appartenenza alla famiglia proprietaria (almeno un componente non familiare).

Le aziende più sensibili a questi temi hanno, infatti, registrato nel triennio 2019-2021 un tasso di crescita annuo dei ricavi del 9,8%, circa l’1,3% in più delle altre aziende familiari. Nonostante redditività e diversity abbiano una correlazione positiva, nel nostro Paese c’è ancora molto da fare: tra le imprese familiari con un Cda solo il 26,4% ha almeno un consigliere sotto i 40 anni di età (a fronte del 46,6% di 10 anni fa); solo il 37,6% vanta una percentuale di donne superiore al 33% (con un miglioramento di soli tre punti percentuali rispetto a dieci anni fa) e solo il 60,1% di queste imprese ha almeno un consigliere non familiare.

Comparando i dati dei primi mille gruppi familiari italiani per dimensione aziendale con quelli di Francia, Germania e Spagna la ricerca mostra come ci siano molte somiglianze tra i quattro Paesi: l’Italia che raggiunge il 28,4% di aziende con almeno un consigliere con età inferiore a 40 anni, a fronte del 26,6% della Francia e del 15% della Germania; l’Italia vanta il 34,9% di imprese con almeno il 33% di donne, al di sotto della Francia (40,9%), ma ben al di sopra della Germania (15,7%); l’Italia registra il 78,3% di attività con almeno un componente non familiare, più o meno come la Francia (77,6%) e la Germania (78,9%); l’Italia con l’84,6% di aziende con non più di un consigliere con età superiore a 75 anni si colloca poco dietro la Francia (90,1%), mentre in Germania quasi tutte le imprese (99,7%) rispettano questo requisito di buona governance.

«Molte aziende familiari mostrano ancora bassi livelli di diversity, confermando la necessità di modifiche legislative che accelerino il percorso» sottolinea Guido Corbetta, titolare della cattedra Aidaf-Ey di strategia delle aziende familiari. E tutto questo, secondo Francesco Casoli, presidente di Aidaf, dovrebbe implicare non solo una maggiore inclusione delle donne nei board ma anche dei giovani: «I Consigli di amministrazione delle aziende di famiglia stanno invecchiando, perché passano gli anni ma anche perché non c’è rinnovamento. Dobbiamo aprire le stanze dei bottoni a un nuovo genere, il genere dei giovani. So che potrebbe sembrare un irrigidimento delle regole del passato, ma credo possa dare una spinta al nostro tessuto imprenditoriale. Cerchiamo di mettere i talenti nella condizione di esprimere al meglio loro stessi».

Il difficile passaggio generazionale

Il passaggio generazionale si rivela, dunque, un processo cruciale per garantire continuità e prosperità alle imprese familiari, spina dorsale dell’economia italiana. Le nuove generazioni in azienda possono, infatti, essere l’elemento chiave per la creazione di valore, contribuendo al rinnovamento e al successo dell’impresa di famiglia grazie all’innovazione di processo e di prodotto, allo sviluppo di un nuovo piano strategico e alla trasformazione del modello di business.

Tuttavia, il processo di transizione generazionale sembra essere un ostacolo insormontabile: in Europa secondo una recente analisi del 2023 del programma europeo Interreg Europe solo il 30% delle imprese a conduzione familiare riesce a sopravvivere al passaggio alla seconda generazione mentre solo il 10% è in grado di superare il passaggio alla terza. Un percorso difficile come sottolineato anche dall’Osservatorio Deloitte Private sulle prospettive delle Pmi in Italia del 2023: dall’analisi del punto di vista di 100 aziende italiane emerge, infatti, come solo due imprese su dieci siano attualmente impegnate a pianificare i futuri cambiamenti negli assetti proprietari e solo una su dieci abbia definito e formalizzato un piano di transizione.

In aggiunta, più di un quinto delle aziende dichiara che a oggi non c’è una nuova generazione a cui passare il testimone e, quando presente e interessata (31%), risulta non ancora pronta ad assumere la leadership.

criticità transizioneTerziario di mercato sempre più rosa

In Italia il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro, tra i 15 e i 74 anni, nel 2022, è stato pari al 48,2% contro il 59,6% della media dell’Unione europea, un divario (oltre 11 punti percentuali) più marcato rispetto alla partecipazione maschile (65,5% in Italia, 70,2% nell’Ue).

È quanto emerge dai dati raccolti nell’analisi “Il lavoro che cambia” presentato a fine 2023 dall’Ufficio Studi di Confcommercio sulle dinamiche dell’occupazione femminile, dipendente e indipendente.

In particolare, prendendo come riferimento l’arco temporale 1995-2023, emerge come il terziario abbia creato in Italia 3,4 milioni di posti di lavoro, crescendo del 30,8%, mentre tutti gli altri settori dell’economia abbiano perso occupati. Sempre relativamente al terziario, a giugno 2023 l’occupazione femminile è stata pari al 47,5%, un valore decisamente superiore rispetto al totale delle attività economiche (39,6%). Per quanto riguarda il lavoro autonomo, la componente indipendente femminile è più significativa nella grande distribuzione (44,6%) e nel piccolo commercio (37,6%), seguite da turismo (42,3%), professioni (37,2%) e servizi alle persone (53,9%).

Complessivamente la componente femminile, dipendente e indipendente, del mercato del lavoro, nel quadriennio 2019-2023 è cresciuta del 13,3% contro il 10,2% del totale (uomini più donne) e nel terziario la crescita è più accentuata (+15,8%). Di 1,85 milioni di posti di lavoro creati negli ultimi quattro anni, poco più della metà sono occupati da lavoratrici.

Il punto di vista dei giovani

A indagare le intenzioni di successione dei giovani, in particolare degli studenti universitari appartenenti alle famiglie imprenditoriali italiane, ci hanno pensato, nel 2022, il Family business lab (Fabula) di Liuc – Università Cattaneo e il Center for young and family enterprise (Cyfe) dell’Università degli Studi di Bergamo. Il risultato è che solo uno studente su dieci, a cinque anni dal termine degli studi, sembra intenzionato a proseguire l’attività di famiglia, con una percentuale più alta tra le ragazze, l’11%, contro il 9% dei ragazzi. I maschi sembrano infatti più proiettati a intraprendere un proprio percorso fondando un’impresa (il 44% contro il 25% delle donne), mentre le femmine propendono per iniziare la loro carriere come dipendenti (46% contro 38%).

Più in generale, lo studio rivela che, nel 92% dei casi, gli studenti interessati a intraprendere il processo di successione preferiscono fare esperienza presso aziende diverse prima dell’ingresso nell’attività di famiglia. «Questo dato suggerisce che la nuova generazione è conscia dell’importanza di conoscere altre realtà aziendali per entrare con maggiore consapevolezza, competenza e maturità nell’azienda di famiglia» dichiara Tommaso Minola, Direttore di Cyfe.

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