CAPITANE CORAGGIOSE 2023. La vie en rose dell'edilizia

Quando il rosa diventa “green”

La parità di genere è uno dei grandi obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, anche in ottica di sostenibilità. Le donne mostrano più propensione ai due mega trend del momento per le imprese: digitalizzazione e sostenibilità

Sostenibilità non significa solo attenzione all’ambiente e transizione ecologica, è un concetto più complesso che riguarda il rapporto tra economia e società e che per questo si declina anche nella più ampia sostenibilità sociale, di cui la parità di genere è uno dei pilastri. Sostenibilità e inclusione delle donne si reggono l’un l’altra. E non ci può essere una vera transizione ecologica senza quella sociale, come dimostrano anche gli obiettivi posti dal programma Next Generation Eu per la ripartenza dell’Europa dopo la pandemia.

La parità di genere è il quinto degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile dell’Onu, che la definisce come “non solo un diritto umano fondamentale, ma una base necessaria per un mondo pacifico, prospero e sostenibile”. Nonostante ci siano stati negli anni molti progressi, come l’aumento della scolarizzazione delle ragazze a livello globale e l’aumento della presenza di donne nei parlamenti, restano ancora numerosi ostacoli per il raggiungimento di una reale parità di genere: secondo il World Economic Forum, per colmare il divario globale nella parità di genere, se si continua a questi ritmi, ci vorranno ancora altri 135,6 anni. I dati parlano da soli. Nel mondo, il divario nella partecipazione al mercato del lavoro tra uomini e donne è rimasto stabile negli ultimi vent’anni, fermo a 31 punti percentuali.
La questione della parità di genere è uno dei pilastri del Next Generation Eu e anche del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano per il rilancio dell’economia nazionale tramite investimenti e riforme. E anche nella finanza, oltre che ai fattori Esg (Environmental, Social and Corporate Governance), gli investitori sono sempre più attenti anche alle società che promuovono la Ge, Gender Equality. I risultati di una ricerca Robeco hanno mostrato l’esistenza di un rapporto positivo con la redditività aziendale quando l’impresa ha più del 20% di donne nel consiglio di amministrazione, più del 30,2% di donne a livello manageriale e più del 44,7% di donne nell’organico complessivo. La ricerca mostra anche che una maggiore partecipazione femminile è legata a una migliore stabilità degli utili, ingrediente essenziale per la sostenibilità a lungo termine.

Le donne sono più “green”

I legami tra genere e ambiente sono riconosciuti sia nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sia negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Oss). Un principio alla base del nesso genere-ambiente è che il degrado ambientale può avere impatti diversi su donne e uomini. Un altro aspetto è che donne e uomini hanno comportamenti e atteggiamenti diversi riguardo alle scelte che incidono sull’ambiente.

Gli studi dimostrano che le donne sono più inclini a riciclare e ad acquistare prodotti più ecologici. Nei Paesi dell’Ocse, le donne hanno un atteggiamento marginalmente “più verde” quando si tratta di utilizzare meno l’auto, mentre a livello globale lo stesso vale per l’uso di modalità di trasporto alternative. Le donne tendono a sostenere le comunità locali e sono più propense a seguire politiche di acquisto più consapevoli e sostenibili, si informano su come vengono realizzati i prodotti, se le merci vengono trasportate utilizzando energia pulita e se i produttori perseguono politiche di arresto della combustione di combustibili inquinanti.

Donne e uomini tendono anche ad avere atteggiamenti diversi nei confronti dei rischi e dei danni ambientali: in un sondaggio del 2019 realizzato dal Pew Research Center su come le persone in tutto il mondo vedono il cambiamento climatico, le donne erano più propense degli uomini a considerare il cambiamento climatico una seria minaccia. Anche l’ultima rilevazione dell’Eurispes (2022) mette l’accento sulla maggiore preoccupazione e sensibilità della componente femminile rispetto a quella maschile quanto si parla di cambiamenti climatici.

Le donne nelle aziende

Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, le aziende con un’autentica diversità di genere, in particolare a livello senior, hanno l’8,9% in più di probabilità di ottenere risultati aziendali migliori.
La leadership femminile è stata collegata alla promozione del coinvolgimento dei dipendenti e al raggiungimento del giusto equilibrio tra atteggiamenti benevoli e assunzione di rischi quando si occupa un posto nel consiglio delle aziende. La presenza delle donne nei consigli aziendali è associata a migliori prestazioni ambientali e pratiche commerciali responsabili. Dirigenti e manager donne migliorano le prestazioni ambientali delle aziende diffondendo informazioni alle parti interessate e partecipando ai processi decisionali in materia di sostenibilità.

Gender pay gap

In questo contesto, tra il 2021 e il 2022, Willis Towers Watson (società che fornisce soluzioni supportate da analisi ed esperienza nelle aree People, Risk e Capital) registra una lieve contrazione del gender pay gap complessivo, che passa dal 14,6% al 14,4% per la retribuzione fissa e dal 16,3% al 15,7% per la retribuzione totale. Nel dettaglio delle 475 aziende che hanno fornito informazioni retributive di genere: nell’87% dei casi la retribuzione fissa media delle donne è inferiore a quella degli uomini e meno di un quarto dei dirigenti e circa un terzo dei quadri è donna. Isolando il 25% delle aziende con una maggiore presenza femminile nella popolazione manageriale, la percentuale di donne dirigenti sale al 37% mentre, sul versante opposto, nel 25% di aziende con una minore presenza femminile nella popolazione manageriale la percentuale di donne dirigenti scivola all’8%. Un ultimo aspetto da considerare è che il divario retributivo di genere per qualifica aumenta al crescere del livello di inquadramento contrattuale, passando dal 4% per gli operai al 10% per i dirigenti. Solo 20 aziende su 100 vantano, infine, un gender pay gap per qualifica vicino allo zero.

In Italia, l’ultimo Rapporto annuale dell’Inps disponibile sottolinea che nel 2021 per le donne la retribuzione è più bassa, in media, del 25% rispetto a quella degli uomini, anche a causa del part time e del lavoro solo per una parte dell’anno. La retribuzione media delle donne nel 2021 è stata pari a 20.415 euro.
«Se il quadro occupazionale appare promettente, segnali più preoccupanti vengono dalla dinamica retributiva», evidenzia l’Inps nel report.
Come era accaduto con il Covid-19, anche la crisi legata al caro energia ha colpito ancora una volta il lavoro delle donne: a novembre 2022, dopo due mesi di lieve crescita, si sono persi in totale 27mila occupati rispetto al mese precedente; nella fascia femminile si contano 48mila occupate in meno, tra gli uomini ci sono invece 21mila occupati in più. E se calano i contratti a tempo indeterminato, tornano a crescere invece quelli a termine e le partite Iva. Recuperano terreno, invece, solo i giovani under 35 (dopo il calo di ottobre), con una crescita più marcata (+12mila) tra gli under 24. Tra i giovani lavoratori si contano in totale 45mila disoccupati in meno, con una riduzione notevole (-6,8%) del tasso di disoccupazione nella fascia 25-34 anni, quella di ingresso nel mercato del lavoro.

Le nuvole che cominciano ad addensarsi attorno al mercato del lavoro, alle prese con inflazione e crisi energetica, si diradano confrontando il trimestre settembre-novembre 2022 con quello precedente (giugno-agosto): si registra infatti un incremento del numero di occupati pari a +27mila unità. E rispetto a un anno fa, i posti di lavoro in più sono 278mila.

Lavoro: gli incentivi per investire in rosa
È stato prorogato l’esonero contributivo del 100%, nel limite annuo massimo di 8.000 euro, per le assunzioni di donne disoccupate con contratti a tempo indeterminato, determinato e per le trasformazioni a tempo indeterminato di contratti a termine. In particolare, l’agevolazione può essere fruita per l’assunzione o trasformazione di donne appartenenti a una delle seguenti categorie:

  • donne con almeno 50 anni di età e disoccupate da oltre 12 mesi;
  • donne di qualsiasi età, prive di impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi e residenti in regioni ammissibili ai finanziamenti nell’ambito dei fondi strutturali dell’Unione Europea (regioni individuate periodicamente dalla carta degli aiuti a finalità regionale approvata dalla Commissione europea);
  • donne di qualsiasi età, prive di impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi, occupate in una professione o settore economico caratterizzati da un’accentuata disparità occupazionale di genere (tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25% la disparità media uomo-donna sulla base delle elaborazioni effettuate periodicamente dall’Istat);
  • donne di qualsiasi età, prive di impiego regolarmente retribuito da almeno 24 mesi, ovunque residenti.

In edilizia il green deal si fa con le donne

L’industria delle costruzioni, spinta dal Green Deal europeo e dalle politiche di transizione energetica, fino al 2030 avrà bisogno di nuova occupazione valutata in 230mila nuovi posti di lavoro «in tempi di mismatch e carenza di manodopera specializzata, se ci fosse qualche donna interessata ai miei cantieri, l’accoglierei subito». L’accorato invito è arrivato da Yari Cecere, imprenditore napoletano dei green building, ospite durante il forum sulla parità di genere “Punto Genere” condotto a Bergamo, nella sede di Italcementi al Kilometro Rosso, dalla giornalista Mediaset Cesara Buonamici. Sembra una provocazione, ma è lo stesso imprenditore a spiegare le motivazioni di un annuncio così inusuale per un settore da sempre considerato un “club” di soli uomini: «Più donne occupate è uno dei grandi obiettivi dettati dalla missione 5 del Pnrr e dall’Agenda 2030, in tempi di bassa crescita e abbondante talento femminile il settore edilizio potrebbe dare un forte contributo alla riduzione dei differenziali di genere perché le competenze green sono introvabili e i numeri ci dicono che sono proprio le donne a mostrare maggiore propensione ai due mega trend più importanti per le imprese, digitalizzazione e sostenibilità, ma ancora troppi pregiudizi e stereotipi frenano l’onda rosa in questo settore e se non ci attiviamo un’altra occasione verrà sprecata».

Imprese femminili e tasso di femminilizzazione

Le imprese femminili in Italia sono più di 1 milione 342mila e rappresentano il 22,18% dell’imprenditoria italiana, come fotografano i dati elaborati da InfoCamere per l’Osservatorio sull’imprenditorialità femminile di Unioncamere.

Tra i settori a maggior tasso di femminilizzazione ci sono le attività dei servizi (in cui le imprese femminili sono oltre la metà), la sanità e assistenza sociale (37,21%), l’istruzione (30,92%), le attività dei servizi di alloggio e ristorazione (29,21%), l’agricoltura (28,13%) e il noleggio, agenzie di viaggio e servizi alle imprese (26,54%).

E l’edilizia? Si trova all’ultimo gradino della classifica con il 6,65% di tasso di femminilizzazione e all’undicesimo per numero di imprese femminili.

Cresce l’innovazione al femminile

A crescere in Italia è però il numero delle startup innovative femminili che, a settembre 2022 secondo l’Osservatorio sull’imprenditorialità femminile di Unioncamere, erano 2mila. Le innovatrici rappresentano il 13,6% del totale delle start up, una quota analoga a quella registrata due anni prima (13,5%) ma la loro crescita è stata notevole in questo biennio: 572 in più rispetto allo stesso periodo del 2019 (più del +40%). Oltre il 70% delle duemila startup femminili opera nei servizi alle imprese (1.455); poco più del 15% invece nelle attività manifatturiere (306) e il 4,6% nel commercio (91).

Barbara Quaresimini (foto Confesercenti)

«Questo dato positivo conferma l’impegno delle donne imprenditrici nell’essere aggiornate e nel costruire percorsi imprenditoriali all’insegna dell’innovazione su tutti i campi, infatti, non è irrilevante la presenza di imprenditrici in attività di alto contenuto tecnologico.
Ci auguriamo che l’incremento delle startup innovative vada in aumento così come l’interesse delle donne nel mondo delle imprese per favorire il consolidamento dell’imprenditoria femminile nel nostro Paese.
Dopo un periodo post pandemico le imprenditrici hanno confermato la volontà di voler crescere, di formarsi, dimostrando di avere coraggio e una visione positiva del futuro»
BARBARA QUARESIMINI, presidente Impresa Donna Confesercenti

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