In tutte le economie avanzate si parla tanto della ricerca di una maggiore equità tra le persone e della redistribuzione dei redditi come le maggiori sfide (insieme naturalmente alla sostenibilità ambientale), che i governi, la politica e il mondo delle imprese dovranno affrontare. Non c’è vertice o forum economico internazionale nel quale panel di esperti manchino di misurarsi su queste tematiche lanciando soluzioni più o meno applicabili.
Affrontare questi argomenti non significa però solo occuparsi di equità e coesione tra le persone, ma anche porsi il problema dello sviluppo e della crescita economica perché, come è risaputo, sono proprio le classi meno abbienti quelle che consumano una quota maggiore dei lori redditi. Seguendo questo ragionamento, capiamo in che modo una misura come la riduzione del cuneo fiscale, caldeggiata da sempre da tutto il mondo imprenditoriale del nostro Paese, possa avere una grande valenza e andare nella direzione di rispondere a entrambe le esigenze: maggiori consumi quindi crescita dell’economia e maggiore produttività, soprattutto in tempi di inflazione elevata.
Il provvedimento attuato però sa tanto di ennesima occasione mancata, non solo per la sua temporaneità, ma soprattutto per il meccanismo, perché se da una parte vengono messe più risorse nelle tasche dei lavoratori italiani, dall’altra vanno a fare base imponibile. Ancora una volta quindi la narrazione modifica e passa di gran lunga la realtà. L’azione costante e puntale delle associazioni di categoria e la grande importanza della contrattazione nazionale sono più che mai utili per stimolare la classe politica ad affrontare questo tema, che è naturalmente correlato con quello della produttività perché vanno a incrociare domanda e offerta in tutti, qualunque sia il comparto produttivo di riferimento.
Nonostante tutti i cambiamenti tecnologici ma anche demografici e più in generale organizzativi, il modello di relazioni industriali sopra descritto si sta progressivamente rendendo adeguato ai tempi, stimolando un sempre più largo e ampio uso della formazione e del welfare aziendale come strumenti necessari per sopperire alle esitazioni o peggio alle mancanze della politica.
Dobbiamo però essere realisti e sapere che la contrattazione nazionale o l’attività delle associazioni di categoria da sole potranno certamente fare tanto per la produttività e per il miglioramento delle condizioni delle persone, ma non potranno risolvere in senso lato il fenomeno della concentrazione della ricchezza; bisogna quindi liberarsi da una trattazione sciovinistica di questo tema e provare a mettere in campo misure con- crete e strutturali che vadano in modo convinto e realistico nella direzione di arginare il fenomeno.
Prendiamo come esempio di questo proprio la casa e quanto sia difficile oggi per i giovani acquistare un’abitazione. Probabilmente stiamo vivendo l’epoca in cui questa azione risulta essere la più difficile di sempre, ed è quindi naturale che di questo non possa che farsene carico la politica, che deve cercare di creare le condizioni affinché non diventi per tanti un miraggio.
I rinnovi contrattuali, dei quali tante volte si parla nel nostro Paese, sono un terreno dove politica e impresa si trovano allo stesso tavolo per fare, in un mondo ideale, ognuno la propria parte per affrontare il tema del reddito e quello correlato della produttività, che in Italia non è solo un tema aziendale, ma riguarda anche e soprattutto tutti i comparti amministrativi del nostro Paese.
La produttività, che oggi più che mai dipende quasi interamente da investimenti immateriali – questo moltiplica le differenze tra le imprese e, di conseguenza, anche tra i lavoratori, il cui contributo in valore aggiunto si traduce in potere contrattuale – dipende quindi dalle competenze che possiedono e aggiornano.