Lavorare insieme per una nuova Europa

Reagire come se l’emergenza del coronavirus non le riguardasse o come se comunque non potessero in nessun modo dare un contributo positivo, è stato l’imperdonabile errore che le inconsistenti leadership della nostra Unione Europea hanno fatto e sicuramente la storia saprà come giudicarle.

Se prendiamo infatti il caso dell’Italia, abbiamo dovuto assistere a restrizioni su esportazioni di materiale sanitario oltre che, in certi casi, al blocco dei voli aerei, misure che sono andate ad aggravare una situazione che era già di per sé una delle più critiche al mondo. Senza contare poi che le uscite fuori luogo di persone in ruoli chiave delle istituzioni europee hanno avuto come unico effetto il crollo dei mercati finanziari, quello italiano tanto per cambiare più di altri.

Tutto questo ha fatto capire, fin dalle prime settimane dell’epidemia, che vi era un virus ancora più pericoloso, il cui contagio era sicuramente meno evidente di quello riscontrato negli esseri umani, ma che andava a colpire i singoli Stati europei e con loro anche le istituzioni europee e di conseguenza anche i vari rappresentanti e che determinava reazioni ed azioni che sarebbero andate ad aggravare ancor di più una situazione già drammatica.

Purtroppo ad un certo punto ognuno ha iniziato a pensare per sé ed anche coloro che rivestivano ruoli nei quali si sarebbe dovuto pensare a tutti i cittadini europei, non sono più stati in grado di farlo o peggio non hanno più voluto farlo. Nel caso del Coronavirus, la sovranità nazionale è stato un ulteriore elemento di aggravio dell’epidemia ed anche per questo si sarebbe dovuto lavorare per trovare un vaccino.

La politica sanitaria è ovunque una competenza nazionale o addirittura regionale perché sono questi organi di governo ad essere per definizione più vicini ai cittadini. A funzionare così è l’Europa, ma anche gli Stati Uniti quindi non è stato questo a costituire il problema quanto invece il fatto che l’epidemia ha dimostrato che ad essere mancati in Europa sono stati i poteri e le strutture per prendere decisioni di emergenza. Senza dimenticare che è mancata, a livello europeo, la volontà politica di intervenire.

Questa situazione ha reso evidente che noi tutti ci muoviamo in uno spazio che costituisce l’illusione di essere comune, ma che siamo lontanissimi dall’avere un’autorità in grado di fissare standard comuni per la gestione di un’emergenza al suo interno che sia sanitaria come finanziaria o economica. Non possiamo più rimandare il fatto che si deve ragionare sull’avere un organo di potere esecutivo, determinato da un impianto legislativo comune e che sia capace di intervenire essendo dotato di risorse proprie e necessarie per intervenire e gestire situazioni ed eventi Extra-ordinari.

Il mero coordinamento dei Governi nazionali non riuscirà mai a fermare un’aggressione a prescindere da quello che ne sia l’agente e dobbiamo prenderne tutti atto con realismo. Il fatto che in Europa ogni Paese debba fare come prima cosa riferimento sulle risorse che in modo autonomo può mettere in gioco, è un principio assurdo e quindi da cambiare.

Le crisi non colpiscono infatti tutti gli Stati nello stesso modo e, quindi, può succedere, in un unione di Stati quale è l’Europa, che davanti ad un’aggressione, vi siano Paesi più colpiti ed altri molto meno.

Le regole comuni servono, ma dal momento che gli effetti di una crisi o di un’emergenza sono sempre e per definizione, asimmetrici e strabici, le regole comuni non bastano per neutralizzarle. Questa è l’occasione per capire che dobbiamo accelerare fortemente sul processo di integrazione europea e smettere definitivamente con il porci la questione se l’Europa abbia senso o meno. La nuova Europa che dovrà nascere a seguito di questa epidemia dovrà essere dotata di una sua capacità fiscale indipendente. Se durante l’epidemia è stata riconosciuta ai singoli Stati una maggiore flessibilità nell’attingere a risorse necessarie e a gestire i propri conti, adesso dobbiamo lavorare tutti per dotare la nuova Europa di un suo bilancio indipendente così che possa finalmente promuovere politiche ed azioni di intervento capaci di essere differenti a seconda dei Paesi e del loro grado di necessità. Dobbiamo lavorare ad un’Europa con una sua capacità fiscale, solo così si potranno gestire in modo molto diverso da come abbiamo fatto per questa, le future crisi.

La speranza da europeista convinto, da persona che si è formata e che ha vissuto e vive non solo in Italia e, non in ultimo, da imprenditore è che si possa lavorare adesso in modo convinto come non mai ad una nuova Europa capace di affrontare le sfide che la attendono.