La rigenerazione urbana per la rivitalizzazione economica

Angelo Patrizio

 

Costruire un percorso capace di coniugare “urbs” e “civitas”, città fisica e società urbana, partendo dall’ascolto degli abitanti e dalla ricerca dei problemi reali, per arrivare a soluzioni partecipate mirate alla trasformazione dei territori

Intervista ad Angelo Patrizio, ex Direttore del Dipartimento Urbanistica e Progettazione Urbana di Confcommercio – Imprese per l’Italia

 

«Dal Nord al Sud del paese, dovremmo smetterla di illuderci che tavoli di lavoro, task force e altre iniziative simili possano affrontare, con qualche speranza di successo, il problema della rigenerazione urbana». Non usa mezze misure Angelo Patrizio, artefice ed ex Coordinatore del Laboratorio Nazionale Anci/Confcommercio sulla Rigenerazione Urbana.

Gli avevamo chiesto cos’è e come si realizza un progetto di rigenerazione urbana: «Si tratta di creare le condizioni per un nuovo sviluppo della città, che faccia procedere in parallelo riqualificazione urbana e rivitalizzazione economica partendo dalle esigenze, spesso inespresse, degli abitanti».

Le amministrazioni locali non servono a questo?

«Nella maggior parte dei casi, le istituzioni non dispongono di strumenti interpretativi adeguati a riconoscere alcune problematiche, né sono in grado di individuare le risorse latenti e, ancor meno, di farsi promotori “motu proprio” della progettualità necessaria per rispondere alle aspettative.

Nella mia trentennale esperienza ho maturato la convinzione che il confronto con le istituzioni deve avvenire in un secondo momento, quando il progetto ha già raggiunto un sufficiente livello di definizione».

Conoscere la realtà 

Qual è la metodologia?

«La città, ma anche i piccoli borghi, sono luoghi in cui le persone interagiscono in chiave sociale ed economica. Queste due polarità non esistono separatamente: non ci sono città senza negozi, né negozi senza città. La prima fase consiste perciò nella conoscenza della città e del territorio, nella ricerca di quelli che amo definire “sistemi commerciali urbani” che costituiscono una trama fondamentale delle interazioni umane.

Si tratta di indagare la realtà, la vita quotidiana nella zona presa in esame, facendo rilievi e costruendo mappe tematiche delle funzioni e dei luoghi. E dopo – solo dopo – “far accadere la partecipazione” come diceva Giancarlo De Carlo, inventando ogni volta le modalità per elaborare questionari di ascolto e per raccogliere informazioni, a cominciare dai dati sulla posizione, la tipologia e le caratteristiche degli esercizi commerciali, delle attività artigianali, dei servizi.

L’analisi si basa sull’ascolto dei cittadini e degli operatori economici e deve svolgersi prima di qualsiasi altra operazione, per fornire un quadro per quanto possibile oggettivo e aggiornato delle problematiche, delle risorse, delle potenzialità e delle aspettative.

Queste conoscenze saranno poi riportate su carta, rendendone percepibile l’insieme alla scala urbana. Uno strumento molto interessante è il disegno delle “aree di prossimità”: attorno a ogni esercizio commerciale si traccia un raggio di 50 metri, che individua l’area di prima prossimità per ogni specifico negozio: quasi un dentro/fuori spaziale per ogni attività economica.

L’analisi delle aree di prossimità evidenzia in modo naturale uno o più sistemi commerciali urbani esistenti, che solitamente sono tali solo sulla carta. Normalmente solo il 20-25% delle attività commerciali di un sistema operano secondo logiche integrate. E questo è un danno per l’intero sistema economico urbano, che necessita invece di una maggiore integrazione».

Carta e matita 

Dopo l’analisi si passa al progetto?

«No: ogni progetto richiede un obiettivo che la sola analisi, condotta da chi non vive quello specifico territorio, non è in grado di far emergere. Il passo successivo è l’elaborazione degli obiettivi, attraverso la partecipazione dei diversi attori (abitanti di tutte le età, commercianti, imprenditori, amministratori, professionisti, ecc.), opportunamente sensibilizzati».

Con quali modalità?

«I risultati migliori si ottengono quando le persone si sentono libere di esprimersi al di fuori dei propri ruoli sociali – come in un gioco di società, in cui tutti i giocatori partono nelle medesime condizioni. Scopo del gioco è ri-disegnare la città, aggiungendo elementi semplici del paesaggio urbano (una panchina, un giardino, un negozio, una fermata dei mezzi pubblici, ecc.).

Queste sessioni partecipate sono la parte più stimolante del percorso: i giocatori vincono solo se collaborano fra loro, immaginando come modificare non solo lo spazio urbano, ma anche l’assetto socio-economico del territorio, pervenendo a un disegno unitario frutto del dibattito collettivo.

Il confronto costruttivo produce sintesi incredibilmente semplici ed efficaci, che non sarebbero alla portata neppure dell’urbanista più capace, ma soprattutto permette la creazione di un’immagine condivisa di quella che potrebbe essere la città contemporanea».

Democrazia per il territorio 

Come si traduce in pratica questa idea di città?

«Lo scopo finale è la creazione di sistemi urbani integrati, in grado di sostenere e indirizzare la rivitalizzazione economica di un territorio. La loro capacità di rispondere alle esigenze di chi vive la città è il presupposto per il successo del progetto che, incontrando i desideri espressi dagli abitanti, trasformerà lo spazio urbano attivando le risorse necessarie per risolvere i problemi.

In pratica, il laboratorio della partecipazione individua le linee d’azione del progetto, che deve risultare economicamente sostenibile – ad esempio, facendo leva su quei fondi che, spesso, giacciono inutilizzati perché manca una progettualità condivisa – e che deve sempre essere concertato con le istituzioni competenti, alle quali spetta portare a termine il progetto stesso.

Normalmente non servono grandi interventi: a volte è sufficiente realizzare un “attrattore”di funzioni urbane differenti: rinnovare una piazza per renderla polivalente, inserire aree verdi e attrezzate, realizzare un nuovo percorso, ri-funzionalizzare un edificio abbandonato, prevedere iniziative ed eventi pubblici, eccetera.

Attraverso questo “mix funzionale” di spazi e servizi si creano le condizioni per l’incontro fra le persone, per la riscoperta del piacere di stare insieme, per la rinascita della città e, perciò, anche del commercio. Tornare a “fare città” significa anche dare lavoro a progettisti e imprese, contribuendo alla ripresa dell’edilizia, ma tutto questo non può avvenire senza un radicale cambio del paradigma, all’insegna di forme innovative di partecipazione democratica.

Confesso che mi sarebbe piaciuto, e mi piacerebbe ancora, cogliere volontà di tale natura anche nelle politiche governative che stanno delineando l’impiego dei 209 miliardi che arriveranno dall’Unione Europea. Ma niente di tutto ciò si profila all’orizzonte.

E nemmeno si sta tenendo conto che la pandemia sta producendo effetti gravi sull’uso delle città, che stanno interessando lo spazio pubblico e la sfera individuale delle persone. Spesso si ha la sensazione che lo spazio collettivo della città sia diventato preda dei prepotenti. Ma su questo tema daremo avvio, in autunno, a un apposito Laboratorio che dovrà coinvolgere tecnici e psicologi».