Il tema del debito tiene banco in tutti i Paesi del mondo e, a seconda della natura della persona che lo affronta e del contesto nel quale il dibattito si tiene, assume connotazioni ora politiche ora sociali e sono quindi rari i discorsi oggettivi che tengono conto di tutte le implicazioni che questo inevitabilmente implica. Quello che è certo e anche universalmente noto è che l’indebitamento del settore pubblico, sommato a quello del settore delle famiglie e delle imprese, abbia toccato un livello che solo pochi anni fa pareva impossibile.
A essere pericoloso però, al di là della demagogia che la retorica del debito si porta sempre appresso, non è tanto il debito in sé, quanto la capacità di rimborso nel tempo del debitore. Anche questa affermazione può sembrare retorica e scontata, ma comunque necessaria e validata tanto per uno Stato, quanto per una famiglia o per un’impresa. Legittimo però anche chiedersi cosa abbia determinato l’accelerare della crescita del debito e quali siano le implicazioni economiche e sociali.
Una visione più ampia sulla questione debito ci porta a considerare che, a fronte di questa montagna di denaro a leva, corrisponde una altrettanto grande montagna di ricchezza finanziaria, che oggi più che mai porta a dividere il mondo in due ed è proprio in questa ripartizione che si annida il vero problema.
La questione che dovrebbero porsi opinione pubblica e politica è infatti proprio quella relativa alla distribuzione oggi nei vari Paesi, di ricchezza e reddito. Se prendiamo a riferimento di questo discorso proprio il nostro Paese, vediamo come la distribuzione dei redditi sia davvero impressionante perché sempre più asimmetrica e questa situazione è stata più volte documentata proprio dalla Banca d’Italia, che con numerosi studi ha dimostrato come l’Italia sia il Paese in Europa nel quale i redditi derivanti dal lavoro siano aumentati di meno, ma al contempo nel quale le diseguaglianze siano aumentate di più.
Numerose volte negli anni, dalle colonne di questa rubrica abbiamo documentato il fatto che in Italia i fondamentali siano sempre stati migliori di quanto non venissero raccontati dalla nostra politica, sappiamo tutti bene che a fronte di un debito pubblico molto elevato, i debiti del settore privato, famiglie e imprese, siano sempre stati più bassi che altrove, ma non possiamo ignorare che nel nostro Paese le famiglie che si trovano in condizioni definibili di povertà assolta, rappresentino il 10 per cento della popolazione e stiamo parlando di quasi 6 milioni di persone.
Siamo quindi lo specchio della situazione precedentemente descritta, ovvero quella di un Paese nel quale l’aumento della ricchezza finanziaria è stato accompagnato da un aumento delle diseguaglianze fra gli individui e questo mi fa venire in mente un concetto che il mio professore di economia politica all’università amava ripetere, ovvero che la concezione attuale del benessere degli uomini si è discostata da quella di un tempo ed è stata sostituita da numeri.
Il rispetto stretto e acritico dei principi contabili e finanziari ha sostituito la compassione nei confronti delle sofferenze. Mentre lo sviluppo economico, che abbiamo rincorso negli ultimi decenni, è stato caratterizzato da tre fenomeni, che sono:
- la diminuzione della quota di reddito derivante dal lavoro;
- l’aumento del debito delle famiglie;
- l’aumento delle fasce di popolazione connotate da un reddito in certi casi inferiore al livello definibile di sussistenza.
Il tutto nella quasi totale indifferenza della politica e dell’opinione pubblica che devono tornare a occuparsi anche, e forse soprattutto, dei rapporti tra le persone per cercare di limitare la crescita ulteriore di questi fenomeni che avrebbe conseguenze davvero drammatiche nel tempo.