L’economia circolare a sostegno della competitività delle pmi

Foto di Focus Pmi

A Palazzo Turati, sede della Camera di Commercio di Milano, nell’ambito del Focus Pmi 2019, è stata presentata la ricerca incentrata sull’Economia Circolare a sostegno delle piccole e medie imprese. La decima edizione dell’Osservatorio nazionale ideato e organizzato da Ls Lexjus Sinacta, che ha visto alternarsi anche approfondimenti e case histories sull’argomento (tra gli interventi quelli di Eni, Kme, Campari Group) e riflessioni sulla normativa attualmente vigente in materia (presenti il presidente di Piccola Industria Assolombarda Alessandro Enginoli e Francesca Palmidessi della Gri), ha affrontato, attraverso la dissertazione del Prof. Fabio Iraldo la questione dell’Economia Circolare a tutto tondo, in ambito europeo, concepita nelle sue potenzialità e nella sua pragmaticità.

Partendo dal concetto di Michael Porter secondo il quale produrre rifiuti conduce ad una perdita del valore economico, e viceversa ottimizzare anche gli scarti è indice di recupero dell’efficienza economica di un’impresa, Iraldo ha illustrato le linee di ricerca perseguite sul tema, fra cui una sua indagine che fa riferimento ad un “indicatore di circolarità” applicato a circa 300 aziende (la maggioranza delle quali Pmi).
L’Economia Circolare, che non è né una moda né un’opportunità per sole Grandi Imprese, né una questione legata ai rifiuti, può invece essere applicata nei singoli casi secondo differenti chiavi di lettura: da un modello di “Ecodesign” che vede il concepimento di un prodotto secondo la facile agibilità e separabilità delle sue parti e componenti (quindi maggiormente adatto al riciclo), all’approvvigionamento con materie prime seconde con specifici fornitori per ridurre il consumo di materia inutile o sovrabbondante, fino all’efficientamento dei processi, alla vendita di un servizio (anziché lo specifico prodotto) e ad una collaborazione simbiotica con altre aziende per valorizzare i materiali reciprocamente.

Se sulla circolarità i dati sulle Pmi sono abbastanza confortanti, ma comparativamente non fra i migliori nella Ue, il livello di circolarità delle Pmi è quasi lo stesso delle grandi aziende, se non migliore rispetto alla media nazionale effettiva.
Fattori di “circolarità” utilizzati da tutte le tipologie di aziende italiane sono legati per il 40% al packaging, con imballaggi composti da materiale riciclato, per il 70% a prodotti che contengono materiale riciclato, per il 25% a strategie per continuare a far vivere dopo l’uso il prodotto e per il 30% a speciali design per ottimizzare gli involucri dei prodotti.

Secondo la Fonte Dati Conai (Consorzio Nazionale Imballaggi), uno dei risultati più interessanti è stata l’analisi delle barriere, al fine di offrire spunti per il loro superamento. Le aziende trovano difficoltà per la mancanza di adeguati incentivi, per elevati costi di investimento e/o trasformazione, come anche delle materie prime e per il limitato apprezzamento della clientela sugli sforzi intrapresi da un’azienda in materia di Economia Circolare. Ci sono poi questioni legate alla scarsa consapevolezza dei benefici economici ed ambientali e all’assenza di attori e cooperazione degli stessi nella filiera, come anche problematicità nel reperire finanziamenti sul mercato di capitali, nel sostituire le materie prime con altre riciclabili (la normativa è decisamente vincolante in questo), e sui brevi termini nei quali possono essere intraprese strategie aziendali in materia. In pratica vige una grande assenza di fiducia nell’impegno in relazioni di lungo termine e si reputano insufficienti abilità e conoscenze di esperti per identificare nuove soluzioni in fase di design che faciliterebbero il disassemblaggio in caso di moduli composti.

Le complessità emerse ad esempio in un caso specifico (il progetto Riecco della Camera di Commercio di Milano) evidenziano ostacoli tanto nella produzione manifatturiera (per tipologie contrattualistiche o scarsa conoscenza dell’argomento), quanto nei servizi (per mancanza di luoghi fisici e virtuali di scambio di sottoprodotti) e nelle cave ed asfalti.

Ciononostante, secondo la ricerca pubblicata sul Journal of Cleaner Production 230, esiste in maniera abbastanza inaspettata una reale correlazione tra il livello di circolarità e le performance competitive: secono un metodo statistico computo con la “cluster analysis”, i peggiori performer sono le imprese lineari; a seguire, i semplici informatori di circolarità, mentre a salire ci sono le aziende che si preoccupano solo dei propri processi produttivi (“house keepers”), i “circular designers” che coinvolgono in maniera attiva i propri clienti, e i “completi” che seguono il processo eco-compatibile nelle sue 5 fasi, dall’inizio alla fine (e dopo), contando profitti di revenues in assoluta crescita negli ultimi tre anni. Per quanto siano “migliori” gli ultimi tre modelli, però, minore è la loro percentuale di presenza nello schema complessivo delle imprese.

A corollare la ricerca, come mostrano le slides presentate al Focus Pmi, vi è un database di oltre 200 idee e progetti “best practice” che hanno alimentato la circolarità sul territorio nazionale: casi come grandi aziende (cfr CarLsberg o 3M) e Pmi (cfr Nitrolchimica, Sol e Nettuno) sono esempi da considerare per imitare e creare nuove azioni desiderabili che possano superare le barriere vigenti e migliorare le condizioni ambientali dell’Economia globale.

La necessità di tenere sotto controllo l’argomento è vitale dal momento che l’aumento della domanda di risorse, legata al suo consumo), è inversamente proporzionale alla scarsità delle risorse realmente presenti. E’ per questo che Ls Lexjus Sinacta, attraverso nuovi osservatori a tema – spiegano gli avvocati Franco Casarano e Gabriele Baldi dell’omonimo Studio – si farà promotore di iniziative dedicate al modello di rigenerazione delle risorse, al fine di promuovere casi di Pmi in cui si conquistino maggior ricavi con sempre meno mezzi a disposizione ma tramite il miglior impiego possibile delle materie ancora presenti.

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