Il mercato del carrello elevatore, termometro sensibile all’andamento della produzione e dei consumi, ha rivelato una febbre particolarmente alta in Europa dove il settore, forte di una domanda di 400 mila pezzi l’anno ancora nel 2007, alla fine di quel decennio si era contratto del 50 per cento e oltre nelle nazioni più deboli come la nostra. E se, restando nel Vecchio Continente, la situazione è migliorata negli ultimi due anni (si stimano vendite risalite nel complesso a 250mila pezzi), altrettanto non si può dire per l’Italia, dove tra controbilanciati e carrelli da magazzino si è passati dai 47mila del 2007 ai 39mila del 2008 per poi scendere ancora a 24mila nel 2009, livello al quale si è ancora sostanzialmente ancorati. Tutto questo con una quota di macchine elettriche vicina al 92 per cento e con il noleggio che copre il 50 per cento circa della domanda complessiva. Se del resto si va a guardare più che l’andamento dello spread tra titoli pubblici italiani e tedeschi quello del Pil a prezzi costanti, vero rivelatore dello stato di salute dell’economia nazionale, si nota che nel secondo trimestre di quest’anno l’indice è tornato ai livelli del 2000; 13 anni perduti. Di più: se si tiene conto che nel frattempo la popolazione è aumentata, il Pil pro-capite è tornato indietro al 1998. Il 2007, l’anno migliore per chi produce e commercializza carrelli elevatori in Italia, è stato insomma anche il migliore per il Pil, sceso da allora del 9 per cento (dell’11% pro capite). Negli anni della depressione, dal 1929 al 1934, la riduzione del Pil era stata del 5 per cento e del 7,8 per cento dopo la recessione del 1866 che provocò le grandi emigrazioni. Tra il 1913 e il 1915, periodo immediatamente a ridosso della prima Guerra mondiale, la diminuzione fu dell’8,8 per cento. Davanti a questi scenari apocalittici le performance dei carrelli elevatori in Italia appaiono tutto sommato apprezzabili. Resta inteso che se l’Italia ricomincerà a crescere come qualcuno prevede a partire dal 2015 al tasso medio degli anni Novanta (1,7%) non si potrà recuperare il livello del 2007 prima di 6 anni.
In mano a multinazionali specializzate nella costruzione delle più svariate tipologie di carrelli elevatori, nel frattempo i marchi leader del settore stanno già compensando le difficoltà in un Paese o in un continente con la crescita della domanda in altre parti del mondo facendo in modo che i ricavi consentano investimenti in ricerca non solo per lo sviluppo dell’hardware ma anche per l’esplorazione di altri campi d’attività, in particolare nell’area dei servizi. Ne sono un chiaro esempio la campagna di Toyota per la sicurezza nei posti di lavoro, l’insistenza di Om Still sul concetto di intralogistica e così via. Dalle più flessibili forme di finanziamento per l’acquisto dei carrelli all’espansione delle formule di noleggio a breve e brevissimo termine, in risposta alla forte domanda di flessibilità da parte della clientela, è tutto un fiorire di proposte le più innovative e ritagliate su misura, caso per caso, con sforzi evidentemente protesi a non perdere fatturato e quote di mercato. Un cambiamento continuo sul quale incide la priorità espressa in questi anni dalla clientela a ridurre i costi, a chiedere maggiore flessibilità e risposte più rapide. Tutto ciò costringe la logistica mondiale, i cui operatori specializzati (le terze parti logistiche, quelle che più si sono evolute in Italia mentre si contraeva la domanda di carrelli da parte dell’industria in crisi) a migliorare l’efficienza senza trascurare aspetti vincolanti ed essenziali come la sicurezza e il rispetto dell’ambiente. Si è insomma chiamati alla quadratura del cerchio con i 3PL che, facendo fatica a convincere i loro clienti a impegnarsi reciprocamente con contratti a lungo termine (strategic contract logitistics) si vedono costretti a noleggiare gli indispensabili carrelli su orizzonti temporali che non vanno oltre il breve-medio periodo. Così, vestendo i panni della clientela che chiede appunto aiuto nel ridurre costi, i ricercatori si concentrano nell’escogitare soluzioni che tengano sotto controllo l’efficienza dei carrelli e automatizzino le fasi più ripetitive impiegando al meglio la professionalità degli addetti. Da qui il successo delle formule di fl eet-management che, sulla falsariga di quanto avviene da tempo nell’autotrasporto, permettono alle aziende che impiegano flotte consistenti di carrelli di monitorarne le prestazioni e le modalità di utilizzo da parte degli addetti. Appositi accelerometri, infatti, installati nei punti più soggetti a subire colpi, sono, infatti, in grado di registrare gli urti subiti dalle macchine durante l’utilizzo e l’ora precisa in cui l’evento è avvenuto, in maniera tale da poter individuare il soggetto che magari necessita di un aggiornamento formativo.
Le formule del noleggio
Leasing: è la collaudata procedura d’acquisto con canone mensile e possibilità di riscatto.
Noleggio spot: si tratta di quello a breve termine, con uno spazio temporale che va da pochi giorni a 12 mesi. Nei periodi di picco della domanda può essere difficile reperire i carrelli. Ma si fa strada la possibilità di prenotarli.
Noleggio medio: varia da uno a tre anni. Lo usano in particolare le imprese di logistica che hanno contratti a termine.
Noleggio lungo: va da tre a cinque anni. È il più frequente dopo lo spot ed è in genere la formula ritenuta più conveniente.
Noleggio lunghissimo: da cinque a otto anni. Raro perché presenta alcuni rischi di carattere finanziario che possono essere determinati dall’andamento imprevedibile del costo del denaro.
Noleggio ibrido: terminato il periodo di noleggio, di tre anni in genere, il cliente sceglie se riscattare il veicolo a un prezzo stabilito, acquistarne uno nuovo con uno sconto concordato oppure se continuare il noleggio con una macchina nuova.
di Antonio Massa