Distribuzione edile e Covid-19. Cartoline dalla zona rossa

GianLuca Ferri, distributore edile di Codogno e delegato Federcomated per la Comunicazione e il Marketing, che collabora attivamente con la nostra redazione per la sezione della testata dedicata alla federazione dei distributori di materiali per l’edilizia, sta vivendo in prima persona il confinamento dei centri colpiti dal Covid-19. Confinamento che riguarda centri abitati, lavoratori, persone e che sta già avendo forti ripercussioni economiche e psicologiche.

GianLuca Ferri

«Stamattina, venerdì 28 febbraio, siamo al settimo giorno di chiusura forzata dei miei punti vendita di materiali per l’edilizia di Codogno e Castiglione d’Adda, che come ormai tutto il mondo sa, sono i comuni epicentro della diffusione del Coronavirus in Lombardia, e sono tra i dieci comuni della tristemente famosa “zona rossa“. La misura è dettata dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 Febbraio 2020 recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, dove all’art.1 comma i) è prevista la chiusura di tutte le attività commerciali nei comuni della zona rossa.

Ad oggi, non si sa ancora quando potremo riaprire.

Ieri, sulla stampa locale, si è diffusa la voce che alcune aziende hanno avuto l’autorizzazione dal prefetto a riaprire in deroga. Mi sono subito attivato e prima di tutto voglio esprimere un enorme ringraziamento al dottor Mario Verduci, segretario generale di Federcomated, per il suo contributo e al dottor Isacco Galuzzi, di Confcommercio Codogno che eroicamente con un cellulare dalla cucina di casa sua sta lavorando senza sosta per mantenere i contatti con tutti i commercianti del mandamento e con tutte le istituzioni coinvolte. Grazie al presidente Giuseppe Freri e a tutti i consiglieri ed amici di Federcomated che mi hanno espresso vicinanza e solidarietà. Un grazie anche a Sabrina Baronio di Confartigianato, titolare di un’impresa di movimento terra, nonché mia cliente ed amica.

Le deroghe sono in realtà state concesse soltanto a 3 aziende, per un’attività assolutamente indifferibile se non a costo di gravissime ripercussioni di filiera, e a ranghi estremamente ridotti.

Infatti, è possibile compilare online il modulo di richiesta deroga presente nel sito della prefettura, alle seguenti condizioni: indicare la forza lavoro da occupare (nomi e cognomi) che deve essere tutta residente nella zona rossa e non può superare il 20-30% della forza piena (se hai 10 dipendenti, massimo 2-3); indicare in modo esteso, preciso e puntuale le motivazioni gravi per cui l’attività è essenziale; indicare allo stesso modo come svolgere l’attività lavorativa garantendo l’assenza di contatti ravvicinati; indicare parimenti il protocollo sanitario da mettere in atto a cura e responsabilità del datore di lavoro (mascherine, guanti, misurazione febbre eccetera).

A queste condizioni difficilmente potrei ottenere una deroga; inoltre: le imprese clienti fuori la zona rossa non possono entrare per venire da me; le imprese all’interno della zona rossa non possono lavorare; potrei vendere qualche sasso alla sig.ra Maria che sta mettendo a posto il giardino, ma almeno lancerei un segnale di vita!

A tutto ciò si aggiunga che – sentiti telefonicamente – nessuno dei miei dipendenti magazzinieri è disponibile a riprendere il lavoro, per paura o per… comodo, non so.

È di ieri sera la notizia di un appello dei sindaci dei 10 comuni della zona rossa che fanno proprie le istanze delle associazioni di categoria: “Raccogliamo l’appello delle associazioni di categoria del territorio e ci rivolgiamo al governo affinché accolga con celerità la domanda pressante e crescente delle oltre 3400 attività economiche che da sabato scorso sono bloccate, con grave danno per sé e profondo disagio per l’intera comunità. Ridateci il lavoro”.

Il tutto vissuto – a volte – nella più grigia indifferenza di chi sta al di fuori della zona rossa: in questi giorni avevo in programma un volo da Malpensa per una capitale europea. Chiedo a Ryanair se sia possibile un rimborso, dal momento che non mi è possibile, ovviamente, raggiungere l’aeroporto, pur godendo di ottima salute. Dubito inoltre che si potrà imbarcare un codognese senza che venga linciato dagli altri passeggeri. Mi rispondono che il rimborso è possibile solo in caso di infezione comprovata da certificato medico. Insisto: non posso, per legge, uscire dal comune, e quindi mi è vietato, per legge, raggiungere l’aeroporto. Niente da fare: solo se mi ammalo e mando il certificato medico. Per fortuna arriva qualche esempio virtuoso: per noi della zona rossa, giga illimitati per 30 giorni dalle compagnie telefoniche.

Sono, siamo, tutti molto preoccupati per un’interruzione dell’attività che non potrà che penalizzarci tutti, vissuta nell’incertezza di come ci dovremo comportare dopo, quali concrete forme di aiuto potremo avere al di là del differimento delle scadenze? Misure che certamente non potranno riparare i danni di una fidelizzazione compromessa da parte dei clienti che sono costretti a cercare alternative. Non solo, ma come potremo riparare i danni di connessioni sociali che si stanno compromettendo: qui nella zona rossa nessuno va più a casa di nessuno; se ci si incontra per strada ci si parla a distanza di due metri. Venerdì 21 febbraio, ultimo giorno di apertura prima che si scatenasse questo caos, un mio fornitore si è rifiutato di consegnare perché il conducente del mezzo aveva paura di entrare in Codogno; un mio cliente ha perso una commessa per il rifacimento di un tetto nel milanese perché il committente privato non voleva avere in casa gente di Codogno.

Danni enormi; ferite che, temo, non si potranno rimarginare in fretta».

GianLuca Ferri