Prendere definitivamente atto che la condizione del patrimonio abitativo è pessima; che le periferie sono invivibili; che la prima “spending review” da fare è quella energetica e che la garanzia del nostro debito pubblico è il risparmio degli italiani di cui la metà è costituita da immobili; che se vogliamo salvaguardare questo patrimonio serve occuparsene e anche molto in fretta. Questo il cambiamento di verso necessario per l’habitat delle città e per l’edilizia e che passa inevitabilmente attraverso una forte innovazione negli approcci alle politiche di questo settore.
È questo il filo conduttore del Documento “Proposte per una politica di rigenerazione urbana e degli edifici” – realizzato congiuntamente a Legambiente – che il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori ha consegnato al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio.
In tema di sostituzione edilizia, ossia la demolizione e ricostruzione di edifici – la più innovativa tra le proposte presentate – il Documento ricorda che “in Italia i brutti e malconci edifici delle periferie e dei sobborghi non vengono rottamati perché con le norme attuali è impossibile farlo: infatti, per demolire un edificio e ricostruirlo a parità di volume e superficie utile, bisogna chiedere un permesso di demolizione e poi uno per nuova costruzione”.
«Una tale innovazione non solo ci metterebbe alla pari con tutti gli altri Paesi occidentali, che prevedono normalmente la sostituzione edilizia, ma rilancerebbe anche l’edilizia italiana con effetti importanti sul Pil e sulla occupazione. Una politica di questo tipo attuata in Francia e in Germania ha dimostrato – come confermato dai rapporti dell’Anru francese e della Kfw tedesca – che ogni euro di incentivo investito dallo Stato ha prodotto 3 euro di ritorno nelle casse pubbliche in termini di tasse e di diminuzione di costi sociali». Leopoldo Freyrie, presidente degli architetti italiani
Essendo la sostituzione classificata come nuova costruzione, essa ricade nelle prescrizioni di densità dei piani urbanistici, normalmente molto più bassi di quando l’edificio è stato costruito: se si demolisce un edificio esistente – ricorda il Documento – la volumetria realizzabile diminuisce del 30%. Si devono ripagare gli oneri di urbanizzazione anche se essi sono stati già pagati in origine. Vi sono poi gli oneri di costruzione.
È evidente quindi – ricordano ancora architetti e ambientalisti – che nessun condominio o operatore ha interesse a “rottamare” e preferendo operare con ristrutturazioni o manutenzioni che non ottengono praticamente mai il risultato di migliorare sensibilmente la qualità dell’habitat.
Per favorire la rottamazione di edifici che non garantiscono più la sicurezza o qualità dell’abitare, che sono in classe energetica E, F o G o sono inadeguati dal punto di vista sismico o del rischio idrogeologico o comunque a “fine vita”, la proposta è che la demolizione e ricostruzione di un edificio a fini residenziali, all’interno della medesima proprietà, di pari volumetria e superficie utile non venga considerata nuova costruzione ai sensi del DPR 380/2001 e quindi sia sottoposta a oneri solo sulla eventuale parte eccedente alla volumetria precedente, laddove realizzabile ai sensi delle norme urbanistiche vigenti. L’intervento di sostituzione – sottolinea ancora il Documento – sarà realizzabile solo laddove si realizzi un edificio di classe energetica A e consumo di suolo pari o minore del precedente”.
Proposte per una rigenerazione urbana e degli edifici. Scarica il documento