Mercato

Una convergenza virtuosa verso valori sostenibili

Interrogato da amici stranieri interessati all’Italia, mi è capitato spesso, in questi ultimi mesi, di riflettere su come definire l’atteggiamento del nostro Paese negli ultimi sei sette anni, caratterizzati in quasi tutti i Paesi europei da una forte recessione prima e da una evidente stagnazione poi.
Nessuno può, infatti, ignorare il fatto che la decisione a livello centrale, su quanto si debba arrivare ad espandere la politica fiscale in Europa per arrivare finalmente a rilanciare quella crescita che si presenta ancora anemica, debba fare attente valutazioni prima di tutti proprio sul nostro Paese.
Va anche detto poi che è proprio questa crescita ancora non consolidata ad essere una delle principali cause che hanno permesso ai populisimi di ogni tipo e colore di prosperare.
La domanda interna europea delle imprese e delle famiglie ancora langue, perché pervasa da un pessimismo capaca di frenare quasi tutti i progetti di lunga durata e la politica monetaria della Bce non ha fatto che andare in soccorso solo alle imprese più proiettate all’estero, non di certo a quelle orientate all’interno dei territori perché i tassi di interesse bassi non possono convncere chi non voglia prendere a prestito perché non vede i ritorni.
Alla luce di queste considerazioni è divantata ormai opionione comune, soprattutto negli ambienti istituzionali europei e sovranazionali più conservatori che solo lavorando ad un vero e consolidato rilancio della domanda pubblica – in particolare nella sua componente degli investimenti – si possa arrivare a ridare ottimismo, prima direttamente attraverso la leva degli appalti pubblici e poi indirettamente, ovvero andando a creare il contesto per una ripresa degli investimenti privati.
Non va dimenticato, infatti, che quello che interessa a tutti noi in quanto cittadini di un Paese sia capire quanto potere di acquisto ci venga sottratto con la spesa pubblica perché, andando ancor più in profondità, ciò che conta davvero capire non sia tanto quanto la pubblica amministrazione dia alla collettività in termini di servizi, quanto più la qualità effettiva dei servizi.
Vista da questo punto di vista, l’Italia in questi ultimi anni si presenta come un austero risparmiatore che ha rinunciato a stimolare la propria domanda ed anzi sia arrivato a deprimerla a forza di tagli.
Non mi riferisco in questo caso a sprechi, ma a tagli lineari purtroppo quasi sempre a casaccio che sono andati a rimuovere organi vitali della macchina pubblica e non utilizzando l’accortezza e l’attenzione necessaria.
Risulta quindi evidente che questa considerazione spieghi sia l’andamento recessivo prima e stagnante poi della nostra economia, oltre al crescente rapporto debito Pil che pesa come una zavorra sulla crescita ed all’incapacità di poter raggiungere un deficit – Pil vicino all’equilibrio strutturale, rinviando da anni gli impegni apparenti presi con Bruxelless.
L’Italia, consapevole dei propri sforzi e dei propri dati, deve dunque chiedere al tavolo europeo, la possibilità di tornare a vedere la propria economia sostenuta dal volano degli investimenti pubblici facendo sì che debito e deficit ritrovino finalmente una convergenza virtuosa verso valori sostenibili.
Se questi assunti e, di conseguenza, questo quadro fossero esatti, è compito del nostro Paese quello di riorientare la cattiva spesa verso la spesa per investimenti buoni.
Si tratta quindi di una sfida delicatissima che richiede una lavoro minuziono e costante, che vada a valutare ogni settore di spesa, al fine di raggiungere quegli effetti positivi che solo il volano degli investimenti pubblici potrà avere sull’economia del nostro Paese come su gli altri partner europei.