Chi sono i miei concorrenti? Ma soprattutto: chi sono i miei clienti?

Ottenere le stesse regole per tutti gli attori del mercato, associarsi e partecipare agli organismi di rappresentanza, unirsi e organizzarsi per essere competitivi sul mercato, focalizzandosi al meglio sulla propria clientela

Carmela De Masi, vicepresidente di Federcomated

Chi sono i miei concorrenti, chi sono i tuoi concorrenti? Quelli come te e come me? Quelli cioè che hanno una rivendita di materiale da costruzione con i carrelli elevatori, i piazzali, i camion, gli operatori di piazzale, i banconisti, l’amministrazione che principalmente fa recupero crediti, magazzini con più di 10.000 articoli? No, non sono io e non sei tu, o meglio non siamo solo noi.

Ricordi quel silos presso il cantiere del tuo cliente, messo là da un tuo fornitore? Bene, allora anche il fornitore è un tuo competitor. Ah! E quei signori che hai visto uscire con un sacco di intonaco su un carrello da supermercato dal centro commerciale, dove hanno comprato l’intonaco? Dalla Gdo, perciò anche la grande distribuzione organizzata è un tuo competitor.

E ti ricordi quando quel cliente, consultando il suo smartphone, ti ha fatto notare che lo stesso elettroutensile esposto sulla tua gondola, su Amazon ha un prezzo iva compresa più basso di quello che tu hai pagato? Anche Amazon è un tuo competitor. E siamo a 4: il tuo collega, il fornitore, la Gdo e Amazon. Un attimo, respiriamo…

Molti di noi convivono con questi discorsi in maniera più o meno ripetitiva, discorsi che portano via energia alle nostre menti, che devono essere libere da ossessioni perché operino bene, ma non possiamo far finta che la descritta concorrenza non esista.

E allora ti chiedi: come sono possibili i prezzi di vendita degli altri? Sai che quei prezzi potrebbero minare la sopravvivenza della tua azienda. È una legge di marketing: “Un +20% sui prezzi rispetto ai competitor non permette nessuna fidelizzazione”.

Allora ascolti il mercato e un collega ti dice che ha appena assunto un operaio proveniente da un multipoint che usa le cooperative – e giù la descrizione della metodologia, per cui mi spiega che se anche lui adottasse quel sistema (nota bene: senza rischi per lui e per la sua azienda) risparmierebbe 400.000 euro all’anno – e conclude: «Carmela, chi fa concorrenza sleale: la Gdo o questi “colleghi”»?

Sono cronaca i contratti di lavoro di Amazon. Prezzi di vendita, costo del lavoro e quale altro asset mi sfugge in questa indagine empirica? Ricordo di aver letto tempo fa un articolo di Stefano Vergine: “Evasori per ragion di Stato. Tasse scontate a 47 multinazionali. Nell’Italia delle imprese soffocate dalle imposte. Lo dimostrano i documenti UE. Su cui vige il segreto”.

Grandi gruppi esteri sono entrati in Italia con accordi molto particolari, tanto da essere secretati, tra le varie sono permesse tassazione agevolatissime. La mia mente fervida immagina che Gdo non italiane del nostro settore potrebbero essere facilitate da questi accordi. Se così fosse un altro asset potrebbe essere l’agevolazione fiscale.

Tre pensieri che mi portano a concludere che il problema non sono i competitor, ma sono i player: giocatori e arbitri. Se giochiamo assieme dobbiamo avere le stesse regole e l’arbitro deve controllare che queste vengano rispettate. Lo stesso lavoro? stesse tasse! Lo stesso lavoro? stessi contratti verso i lavoratori! Lo stesso lavoro? Stessi diritti e stessi doveri!

Attivare lo Stato è compito imprescindibile dei corpi intermedi tramite le federazioni nazionali che sono forti e pesano grazie alle associazioni territoriali. Caro collega sei iscritto alla tua Federcomated locale? Da solo non puoi far valere i tuoi diritti, da solo puoi solo borbottare in tutte le sue declinazioni, ma non puoi fare nulla. Chiaro? Da solo? Nulla.

Nel frattempo mi chiedo: cosa possono fare le rivendite? Giuro di non farmi guidare dal “mantra” del servizio al cliente, ma seguirò un altro “mantra”: guardare il comportamento del settore food. Vivo a Roma e, negli anni, ho visto l’evoluzione della distribuzione alimentare.

C’era una volta il negozio di alimentari, poi sono nati i supermercati e il negozio di alimentari ha chiuso. Le mura sono rimaste sfitte per parecchio e poi qualche straniero ha riaperto un food bazar con orario non-stop. L’ultima fase interessantissima della Gdo alimentare è l’approdo dei supermercati in città con piccoli negozi che abbandonano la desinenza iper a favore di local. Il negozio di vicinato è tornato in auge.

È facile dedurre che i vecchi negozi, se avessero avuto la forza di resistere, adesso sarebbero ancora al loro posto. Ma perché la Gdo e gli extracomunitari riescono a stare là dove un esperto negoziante non è riuscito? Sembrerà un paradosso, ma il commercio food ha due grandi distributori: la Gdo e la Gdo extracomunitaria.

Infatti gli extracomunitari lavorano come se fossero un brand ben preciso: negozi scarni, ma fornitissimi, non c’è un metro quadrato vuoto, tutte le merci esposte con il prezzo o comunque identificabili con il codice a barre, un’offerta merceologica incredibile soprattutto se rapportata alla superficie.

Negozietti organizzati come macchine da guerra: ad ogni richiesta c’è una risposta – anche secca, ma c’è. È ovvio pensare che dietro ci sia un sistema distributivo condiviso. Nei sistemi distributivi condivisi ci sono piattaforme logistiche, attività di marketing, reti di vendita, gestione dei codici a barre, e-commerce, amministrazioni centralizzate, ecc..

Perché le rivendite non dovrebbero utilizzare questi sistemi di condivisione, che permetterebbero la sopravvivenza economica, delegando il back office a consorzi e lasciando inalterate le peculiarità delle nostre attività, che sono colme di quei famosi asset intangibili – sconosciuti a tutti e in particolare alle società di “business information”.

Chi potrà mai conoscere, oltre noi stessi, il valore della base clienti, il valore dei dipendenti, il valore dei partner, il capitale delle conoscenze? Quell’insieme di valori è nostro e soltanto nostro, frutto di anni di presenza sul mercato, ed è l’unica leva che permette la soddisfazione del cliente e, quindi, la customer retain.

Per chiudere con Philip Kotler: “È importante osservare i propri concorrenti, ma è più importante essere maniacalmente focalizzati sui propri clienti. I clienti, non i concorrenti, decidono chi vince la guerra”.